Definizione. Figura retorica (dal greco anapherein, ripetere) che consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di versi o enunciati successivi, con un’evidenziazione e rimarcatura dell’elemento ripetuto. Appartiene al genere della “ripetizione” (o “iterazione”). Schema tipico nei testi sacri, in particolare nei Salmi.
Nel canto V dell’Inferno (vv. 100-106):
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende …
Amor, ch’a nullo amato amar perdona…
Amor condusse noi ad una morte.
L’anafora della parola amor dichiara e insiste sul concetto fondamentale che ispira tutto l’episodio, e che ne determina l’atmosfera e il turbamento morale.
È la figura più frequente ed evidente tra le varie forme di “ripetizione” usate da Dante, elemento essenziale del ritmo narrativo di tutto il poema.
Nella Commedia, l’anafora svolge due funzioni prevalenti:
- distinguere e legare le varie parti in cui si articola un discorso;
- evidenziare razionalmente ed emotivamente una specifica immagine o concetto.
La prima importante anafora del poema è quella che si trova all’inizio del canto III, nell’iscrizione sulla porta dell’Inferno:
Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.