È esistita una Resistenza in Germania? Secondo Primo Levi, “il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo” è Ognuno muore solo, il romanzo dato alle stampe da Hans Fallada nell’ottobre del 1946 e apparso l’anno successivo, in concomitanza con la tragica morte dell’autore.
Al termine della guerra, nella Berlino distrutta, Fallada recupera negli uffici di un commissariato di polizia un fascicolo di 90 pagine, che documenta una strana vicenda: quella di una coppia di coniugi – gente comune, lui caporeparto in un’officina, lei casalinga – che per due anni disseminano nei palazzi della città centinaia di cartoline anonime, contenenti critiche al Führer, accuse al regime e appelli al boicottaggio. Dalla storia vera – come si legge nella Prefazione – scaturisce il racconto:
Le vicende narrate in questo libro seguono a grandi linee gli atti della Gestapo sull’attività illegale svolta dal 1940 al 1942 da due coniugi berlinesi del ceto operaio. Solo a grandi linee: il romanzo, infatti, ha le sue leggi e non può seguire in tutto la realtà.
Per quanto la conclusione sia prevedibile, la tensione narrativa è altissima e tiene il lettore con il fiato sospeso. Fallada lo immerge nell’atmosfera di sospetto e timore che avvolge tutti e ciascuno: nella sua nota Sulla resistenza che nonostante tutto i tedeschi opposero al terrore hitleriano – pubblicata in appendice dall’editore Sellerio – parla di una paura diffusa, davvero collettiva e di un popolo di delatori, educato da uno stato corruttore, nel quale chi denunzia gode di onori e agevolazioni, nel quale il padre non è sicuro della delazione del figlio, la sorella della delazione del fratello!.
Eppure, aggiunge ancora Fallada con riferimento ai suoi protagonisti, nel colossale meccanismo dello stato nazista, succede qualcosa di grottesco: l’elefante si sente minacciato dal topolino! E nelle sue pagine le drammatiche vicissitudini di Otto e Anna Quangel si trasformano in una testimonianza esemplare (e al tempo stesso straordinaria) di dignità e di coscienza civile: il segno che anche sotto l’oppressione – e in mezzo al conformismo imperante – qualcuno reagisce, magari in solitudine e con piccoli gesti, in cui sopravvive il germe della rivolta.
Così abbiamo dovuto agire ognuno per conto suo, e siamo stati presi uno per uno, e ognuno di noi morrà solo. Ma non per questo siamo soli, non per questo moriamo inutilmente. A questo mondo nulla accade inutilmente, e poiché combattiamo per la giustizia contro la forza bruta, saremo noi i vincitori, alla fine.
Di Fallada è il caso di ricordare anche l’opera che l’aveva reso famoso. E adesso, pover’uomo?, del 1932, ci cala “in presa diretta” nella crisi economica che devasta la Repubblica di Weimar alla vigilia della presa del potere da parte di Hitler. Anche qui – oltre all’ambientazione berlinese – abbiamo al centro una coppia e una vicenda a suo modo esemplare, in quanto rappresentativa del progressivo scivolamento della classe impiegatizia verso la disoccupazione e la miseria, sperimentato in quegli anni da milioni di tedeschi: il terreno fertile in cui attecchì la propaganda nazista. Fallada mescola all’affresco sociale le fibrillazioni di una vivace relazione sentimentale: ma il suo romanzo – di godibile lettura – ha soprattutto appassionato (e aiutato) gli storici del Novecento, alla ricerca di una risposta al fatidico interrogativo: Com’è potuto accadere?